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Gianluigi Castelnovo
Di seguito l'articolo scritto da Federico Piscone
primo direttore di Elleci Magazine.
I primi vent’anni di Elleci Magazine
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Federico Pistone, primo direttore di Elleci Magazine, attualmente al Corriere della Sera |
Cosa? Vent’anni? Dai facciamo finta che sono dieci, altrimenti ci assale un’ansia da nostalgia e da senescenza. Niente, era il 1992 e quindi sono proprio vent’anni fa quando decisi, nella mia megalomania editoriale e soprattutto nella incoscienza del giovane giornalista d’assalto, di fondare una rivista, pomposamente definita “la prima rivista della provincia di Lecco”, per di più a colori e su carta patinata, come un rotocalco vero. In realtà la provincia non esisteva ancora, Lecco era ancora “comasca” eavremmo dovuto aspettare tre anni prima di avere la nuova targa, e soprattutto la nuova autonomia istituzionale.
Decisi di chiamarla Elleci, pregando che la provincia sarebbe davvero nata e che la sigla automobilistica sarebbe stata davvero quella.
In copertina ci piazzammo un bambino seduto su una macchinina giocattolo con la targa LC00001 e una bandiera a scacchi con il titolo: Provincia di Lecco, un traguardo per partire. Un’immagine che portò fortuna. La provincia di Lecco partì davvero, tre anni dopo, e la rivista Elleci è ancora in vita e gode di ottima salute dopo vent’anni giusti.
Per il primo numero cercai di radunare una redazione di colleghi e di amici per proporre una serie di servizi giornalistici di approfondimento sui temi della realtà lecchese. Ricordo una risposta entusiastica e trasversale, con firme che appartenevano a testate diverse e anche in concorrenza tra loro.
Ero riuscito a convincere gli amici giornalisti che Elleci era una rivista al di sopra delle parti, non un’altra testata ma un’altra opportunità: per raccontare Lecco e la sua provincia con un taglio diverso, di inchiesta e di proposta, ma anche con un’impostazione grafica inedita, con foto per la prima volta a colori. Ricordo degli articoli bellissimi, non faccio nomi per non lasciarne fuori altri. Un nome però voglio e devo farlo, quello di Aroldo Benini: non solo lui era un amico di cui andare fieri, ma era una vera miniera di conoscenza e di coraggio.
Lecco gli sarà sempre debitrice. Pubblicammo in anteprima le foto di come si sarebbe trasformata la città dopo l’Attraversamento, uscimmo con un’inchiesta molto forte sugli immigrati nella nostra provincia, denunciammo la discutibile gestione delle opere d’arte dei musei lecchesi, consegnammo
pagelle - non sempre brillanti - a politici, amministratori e uomini pubblici, scoprimmo una serie di itinerari valorizzando rotte inesplorate del nostro territorio, passammo alla graticola società, politica, sport, riuscimmo a “far cantare” personaggi di primissimo piano restituendo immagini intime e inedite, vivemmo con attenzione (e, lo ammetto, un po’ di preoccupazione) la nascita e lo sviluppo della Lega.
Ricordo che prima della stampa andai in tipografia a guardare le cianografiche, per verificare che tutto fosse a posto per il battesimo, e improvvisamente mi ricordai che mancava ancora un “dettaglio”: il mio editoriale. Lo buttai giù di getto, senza rileggerlo, perché non c’era più tempo, le macchine stavano già ruotando e ormai mancava solo l’ultimo ottavo.
Credo che non rilessi mai quell’editoriale, avevo troppa paura di aver scritto scempiaggini, sull’onda della fretta e dell’emozione. Il riscontro in edicola fu eccellente e anche i miei compagni di avventura, più pragmatici di me, erano particolarmente soddisfatti.
Perfino il mio “socio”, il rigoroso e incontentabile Alfredo Polvara, che ancora oggi è in sella a Elleci, era orgoglioso della creatura. Con lui fatalmente ci furono delle discussioni. Fosse stato per me la rivista avrebbe vissuto d’aria e d’amore (e quindi sarebbe fallita in tre uscite), lui invece badava al sodo: perché questo sogno sopravvivesse ci volevano tanta pubblicità, tante iniziative parallele, e qualche sogno femminile. (Lo fanno anche Panorama e L’Espresso, mi diceva. Perché noi dobbiamo fare i moralisti?). Così riuscì a infilare in copertina una modella svedese, credo, con una salopette osé e una fiamma ossidrica in mano. Secondo lui accompagnava perfettamente un’inchiesta sul lavoro a Lecco.
In compenso, riuscii a imporre su un’altra copertina l’immagine - decisamente meno sexy - di un dipinto di Lecco realizzato da Massimo D’Azeglio per annunciare uno speciale sull’arte della provincia.
Poi Elleci ha cambiato attori, vestito, obiettivi ma si è mantenuta in vita e quando torno a Lecco da qualche parte la intravedo ancora, magari appoggiata sul tavolino di un caffè. Difficile da riconoscere, ma se è per quello anch’io dopo vent’anni sono molto cambiato. Auguri, Elleci.
Federico Pistone
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