giovedì 22 settembre 2016
Montagna e lavoro
La montagna riparte dagli alpeggi
Nelle malghe lariane quest'estate c'è stato un cambio di tendenza con il ritorno tra gli alpeggiatori di diversi giovani. Un segnale importante per il futuro del settore
Lecco – Al termine della stagione estiva in montagna i primi bilanci nel territorio lariano sono indicativi di una cambio di tendenza per quanto riguarda gli operatori. Nelle provincie di Como e Lecco l’alpeggio è vivo e i giovani (a sorpresa) lo accompagnano verso il futuro con una notevole ‘spinta generazionale’. E così, la montagna lariana riparte proprio da una tradizione che consolida nei secoli le proprie radici: quella dell’alpeggio. E non solo sul territorio: negli ultimi dieci anni – spiegano da Coldiretti su dati regionali – le malghe utilizzate per il bestiame sono aumentate del 46% passando dalle 609 del 2006 alle 890 del 2015 con oltre 36mila capi bovini portati sui pascoli in altura contro i 22mila del passato.
“Si tratta di un buon segnale – affermano Fortunato Trezzi e Raffaello Betti, presidente e direttore della Coldiretti interprovinciale – che fa ben sperare circa il futuro non solo di tante produzioni tipiche ma dello stesso ambiente considerato il ruolo di salvaguardia e tutela che gli agricoltori svolgono in zone disagiate come quelle di montagna”.
Le malghe del settentrione lombardo sono collocate a quote che partono dai 966 metri della zona del Lario Intelvese ai 2.463 metri dell’alta Valtellina. La salita in alpeggio di solito inizia i primi di giugno per il rientro intorno alla metà di ottobre.
L’età media è sotto i 45 anni, ma ci sono alpeggiatori anche molto più giovani. Come Roberta Tenderini che ha 22 anni e segue la malga Ariale, a 1.330 metri di altitudine, nel Comasco: “Hanno iniziato i miei genitori nel 1997. Dopo la scomparsa di mia madre, l’attività è passata a me nel 2012. All’epoca studiavo ancora da perito meccanico. Ho sistemato alcune strutture e sono riuscita a riprendere la monticazione delle vacche da latte, nel 2015 ho aperto l’agriturismo e quest’anno ho aggiunto anche le capre. Produciamo burro e formaggi”.
Una vita dura, ma sulla lavagnetta davanti alla sua baita Roberta ha scritto: “La ricchezza più grande che possediamo, quando alla mattina apriamo gli occhi, è il giorno che abbiamo davanti”.
Davide Gobbi, 38 anni, di Margno in Valsassina, lavora sull’Alpe Pian Delle Betulle, e a prendere l’aria buona dei monti lombardi porta anche i maialini: “Ricordo ancora quando le nonne salivano all’alpe, oltre alle capre avevano un paio di mucche a testa. Fu la mia mamma ad ingrandire l’attività, oggi sono io a salire in alpeggio con una cinquantina di capre, una ventina di mucche e vitelli e anche due otre maiali”. Un lavoro, ma anche una passione coltivata fin da bambino: “Avevo 12 anni quando salii in alpeggio la prima volta. Ora mi avvicino ai 40 e sono già 15 anni che ‘carico’ da solo greggi e mandrie sull’alpe. Le difficoltà? Certo che ci sono: si trascorrono qui 120 giorni l’anno, molti lontano dalla famiglia: i miei figli, ad esempio, mi raggiungono solo quando la scuola è finita. Bisogna conoscere la natura, i suoi ritmi e i suoi tempi, senza fare azzardi: soprattutto, occorre fare massima attenzione ai temporali, che per le bestie possono essere molto pericolosi. La vita in alpeggio - conclude Davide - non è cambiata moltissimo negli anni: certo, sono arrivate alcune migliorie come il sistema dei recinti mobili. Ma soprattutto è rimasta la tradizione di produrre i formaggi tipici, come il semigrasso che facciamo quassù. Formaggi con pochi ingredienti come una volta: latte, caglio e sale. Oltre a tanta passione”.
Red.
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