Niente nuove cave nel Lecchese
Coldiretti soddisfatta della decisione
LECCO – “Il no a nuove cave in provincia di Lecco riconosce il ruolo strategico del suolo rurale lariano: è un passo avanti nel riconoscimento della “centralità dell’impresa agricola” per lo sviluppo del territorio, che ci auguriamo possa divenire realtà con i nuovi Psr”.
A parlare è Fortunato Trezzi, presidente della Coldiretti interprovinciale, che giudica “con grande positività” il riconoscimento del “suolo agricolo” della provincia di Lecco come “bene finito” e, dunque, da preservare dalla creazione di nuovi siti estrattivi. “Da qualche giorno, i nostri agricoltori – ma anche i cittadini - hanno tirato un sospiro di sollievo, e ciò dopo la notizia che, a fine novembre, un ordine congiunto tra tutte le forze consiliari ha detto no a nuove cave, indirizzandosi all’implementazione di giacimenti già aperti: una soluzione di buon senso, che trova, di fatto, un punto di equilibrio tra le necessità di tutti”. “Il suolo rappresenta un bene finito e non rinnovabile e la definizione di un limite al consumo e allo sfruttamento deve essere un compito fondamentale delle amministrazioni locali” si legge nel documento licenziato “che devono tenere conto del bene e delle necessità della comunità che rappresentano piuttosto che dell'interesse di pochi, ponendo il valore della qualità della vita al di sopra di qualsiasi interesse economico”.
L’ipotesi di un insediamento di nuovi ambiti estrattivi aveva messo in allarme numerose aziende agricole della zona del Meratese, che si sono rivolte a Coldiretti manifestando la loro preoccupazione per le possibili nuove cave nei comuni di Missaglia, Robbiate e Merate stesso.
“I nuovi siti estrattivi – afferma il vice direttore di Coldiretti Como-Lecco, Rodolfo Mazzucotelli - sarebbero stati realizzati in territori sotto vincolo ambientale e paesaggistico, compresi fra il Parco Adda Nord e il Parco del Curone: aree ove sono stati studiati ed evidenziati dei corridoi ecologici per il transito della fauna, ed ancora territori dove per insediare una nuova azienda agricola se zootecnica occorre rispettare 100 metri di distanza da altri fabbricati, dove per l’insediamento di nuove serre occorre valutare l’impatto ambientale con appositi studi, non ultima la normativa sui nitrati che obbliga le aziende ad avere un rapporto minimo fra il carico di bestiame e i terreni coltivati sui quali spandere i reflui, liquame e letame: ma se le aziende agricole fossero state private dei terreni che senso avrebbe avuto tutto ciò?”.
Sottolinea il direttore interprovinciale Francesco Renzoni, “la stessa Coldiretti ha scritto una lettera ai capigruppo consiliari della Provincia di Lecco ribadendo come “l’apertura di nuove cave in un territorio già fortemente urbanizzato dal punto vista ambientale” avrebbe costituito “un grave danno ma per il mondo agricolo dove la disponibilità di terreno è di fondamentale importanza per l’esercizio delle attività zootecniche che arboree o erbacee rappresenta un fattore determinante per il proseguo dell’attività primaria”. Il tutto mentre, anche a livello nazionale, si discute di “rilancio delle aree rurali”, anche attraverso il varo di un progetto interministeriale “che parte dal territorio rurale e che vedrà le imprese agricole quali interlocutori principali di questo progetto, che li riguarderà sia come custodi del territorio, sia come promotori di sviluppo economico, ma anche come cittadini di una comunità rurale che abbisogna di servizi per potervi vivere ed operare”.
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